venerdì 25 maggio 2012

Redenzione e Utopia

“Redenzione e utopia” di Michael Löwy mette in rilievo l’importanza che il mito messianico ha avuto nel corso del XX secolo.

Si potrebbe specificare:  in una forma d’interpretazione atea figure quali Gustav Landauer, Ernst Bloch, Giörgy Lukács, Erich Fromm e molti altri è da ritenere abbiano influenzato la critica anticapitalistica perpetuando una tradizione di salvazione, o, si potrebbe definire, di conseguimento di una condizione di libertà, di cui è ben difficile datarne gli albori e l’origine.

Certo usare il termine “libertà” rischia di rendere ancor più oscuri concetti già abbastanza difficili da interpretare con parole dal significato universalmente riconosciuto, ma in modo approssimativo possiamo prendere per buono il senso del termine “libertà” come condizione di assenza di costrizione al di fuori dei legami imposti dai rapporti tra simili. Potremmo forse definirlo come “libero arbitrio”, in quanto capacità dell'umanità di scegliere  del proprio destino in assenza di una qualche forma di potere, che sia economico, politico o d'altro tipo.

Impossibile spingersi oltre in questa sede nell'approfondimento di tale questione, quindi mi si scuserà se prenderò per buone tutta una serie di nozioni che non troveranno consenso per la loro indeterminatezza.

I punti da cui partire per ripercorrere la storia della trasmissione del mito della salvazione sono innumerevoli. Non c'è dubbio, mi pare, che alcuni strumenti di comunicazione abbiano tramandato senza che vi fosse una volontà precisa concezioni mitiche provenienti da una passato lontanissimo e difficilmente individuabile. La stessa cartografia Tolemaica nasce in Egitto e giunge sino al medioevo trasmettendo la “cognizione del mondo” che era propria di quel paradigma che porta con se il bisogno imprescindibile di redenzione. Non credo assurdo pensare che possa aver continuato a condizionare la nostra cultura.1 Forse addirittura tutto il pensiero utopico potrebbe essere ricondotto al bisogno di redenzione.

Il problema, che affligge anch’esso da secoli l’uomo, della bontà o della cattiveria della natura umana non è marginale in tale contesto. Mentre per il mito cristiano l’uomo è “cattivo” a causa del peccato originale, dunque imperfetto, epperciò bisognoso di salvezza e redenzione, per il socialismo l’uomo è sostanzialmente capace di realizzare una vita buona, ma è necessario un progetto salvifico. La redenzione si compie con abbattimento del sistema presente.2

Relativamente all’immagine utopistica del filosofo contemporaneo Zerzan è opportuno soffermarci su di un aspetto che trae facilmente in inganno e affascina: la ricerca di un modello di vita vicino alla natura. Ma questi sono aspetti filosofici e pratici che lo avvicinano a concezioni mistiche e religiose. Si potrebbe osservare che anche qui siamo di fronte alla ricerca e al ritorno del “paradiso perduto” (i giardini dell’Eden sembrano essere stati individuati geograficamente a sud del Caspio da cui discenderanno le civiltà sumera e mesopotanica). Idea di cui Zerzan è pienamente consapevole “L'Eden - osserva l’autore - era chiaramente la dimora dei cacciatori-raccoglitori e l'ardente desiderio espresso dalle immagini storiche del paradiso dev'essere stato quello dei disillusi coltivatori della terra per la perdita di una vita di libertà e di relativo agio.”3

Un tema presente, pare, in tutte le culture e che in occidente deriva dalle scritture egizie, come dicevo più sopra, che esprimevano la nostalgia di una leggendaria terra prospera e rigogliosa, colma di frutti e di ricchezze. E’ una leggenda, quella del mito egizio di un paradiso perduto, poco conosciuta, ma che ha influenzato gran parte dei miti e delle culture religiose successive. Ricordiamo che Mosè, nella sua figura del tutto leggendaria, era vissuto in Egitto e potrebbe essere considerato, in un certo senso, il più importante propagatore di quella cultura attraverso il mito della “terra promessa”. Il fatto che Mosè sia solo una figura mitica non vanifica il ragionamento. L’inventore di tale storia leggendaria è il soggetto attivo di tale trasmissione.

Anche nel rapporto uomo/natura è possibile scoprire molteplici influenze che trascendono lo spirito razionalista della modernità, che sfuggono, o sembrano apparentemente sfuggire, alla dialettica illuministico-borghese e per questo particolarmente attraenti e insidiose, inerenti a quel regresso dell’Illuminismo alla mitologia, per l’incapacità di sfuggire alla propria autodistruzione.
Credo che un percorso a ritroso nel tempo ci porterebbe molto lontano nella ricerca di un mito rivolto al rapporto magico tra uomo e natura, e penso che il fallimento del dominio dell’uomo sulla natura (mito illuministico che vedeva nel progresso la possibilità di realizzare la pacificazione dell’umanità attraverso la ragione), conduca, come hanno mostrato Adorno e Horkheimer nella Dialettica dell'Illuminismo, al rovesciamento della razionalità, cifra tipica e distintiva del pensiero illuminista.4

Mi soffermerò su un prossimo articolo della possibilità di interpretare la secolarizzazione quale religione atea, e nello stesso tempo potremmo affermare quanto anche le teorie critiche antilluministiche e anticapitalistiche possano svolgere una funzione mitica sebbene su di un piano assolutamente diverso. Pare in un certo senso che l’uomo sia condannato all’illusione religiosa. Così si esprime uno studioso buddista

“L’uomo pare, è destinato ad avere una religione, anche se celata sotto spoglie diverse (…) Tra tutti questi sostituti il peggiore è lo Stato. Dio, invenzione opportuna, può almeno essere un Dio d’amore. Ma lo Stato è freddo, impersonale; (…) non ha altro che consapevolezza, tagliato fuori com’è da ogni rapporto con la vasta realtà dell’inconscio (…). Come tutte le cose di dimensioni eccessive, non ha significato; ed io (…) le detesto tutte, che si tratti di un grande negozio, o di una società anonima o di una organizzazione mondiale. Tutti questi organismi mancano di umanità; promulgano stolti regolamenti da cui sono legati; e non si curano di nulla.”5

Si potrebbero proporre numerosi esempi relativi a questa influenza, più o meno ideologici o utopistici.
Un concetto che si trova in stretto legame con la tradizione millenaristica del paradiso perduto è l’esodo. Non credo sia fortuito che il professor Negri si sia servito soprattutto in Impero di alcune parole quali esodo, appunto, ma anche moltitudine o espressioni che evocano una serie potremmo dire di script presenti nella tradizione giudaico/cristiana. Evidentemente Negri conosce bene la magia delle parole.
E’ interessante notare il linguaggio con il quale si esprime Marco Melotti “il Regno è già intorno a noi, si tratta solo di chiamarci fuori da questo simulacro di realtà, questa sorta di incubo ad occhi aperti, in cui qualche maligno incantesimo ci ha imprigionati, per incamminarci verso una radiosa <> dimensione che ci attende. Il grande Avvento, per costoro, è compiuto; dovremmo solo avvedercene, e migrare in sua gloria, invece di ostinarci a voler rimanere avvinghiati alle nostre catene già sciolte da un pezzo ed ormai divenute per noi, poveri stolti, una sorta di ingannevole <>6

L’autore rispondendo attraverso l’uso di un certo linguaggio ha colto perfettamente non solo il senso magico delle parole ma anche la funzione mitica delle concezioni negriane.
I confini tra la nostalgia per il paradiso perduto, il sogno di una vita di piacere, di ozio, di benessere e l’utopia di un mondo pacificato sono molto sottili e indefiniti e provengono dal profondo dei secoli se non dei millenni. Il sistema capitalistico non ha mancato di assorbire una parte del <> che aveva soppiantato e di servirsi di un nuovo mito (il benessere perenne prodotto dallo sviluppo sfrenato e dalla ricchezza economica) oscurando e deformando totalmente il desiderio di una vita piacevole e gioiosa, dando vita al paradosso più assurdo e a un delirio di massa così immenso che solo le grandi religioni monoteistiche erano state capaci di creare: lavorare e servire sempre più per avere sempre di più ma non poterne mai godere, la conquista di un benessere che sarà sempre rimandato all’infinito. 7

Occorre d’altronde ricordare che la religione primitiva aveva non da ultimo lo scopo di mettere in rapporto l’uomo con la natura, di ritrovare quegli stessi legami che in qualche modo l’uomo aveva perduto nel passaggio allo stato umano. La razionalità e la coscienza hanno separato l’uomo dall’idillio, ricostruire quei legami spezzati era il fine della religione originaria. La magia attraverso tecniche che avevano lo scopo di ottenere il controllo degli eventi (naturali o inerenti l'esistenza) potrebbe essere interpreta come processo interni al pensiero religioso. Religione e magia non sono inscindibili “nel loro farsi” nell'evoluzione storica.8

Ma la religione è un’illusione. Essa offre la speranza di una pacificazione, un paradiso perduto, che non potrà mai essere conquistato perché semplicemente impossibile come può essere la promessa ad un ritorno all’indifferenziato. La reintegrazione dell’uomo nella natura significherebbe la sua stessa scomparsa.
Si spera che l’umanità nel futuro sappia dare una risposta concreta e positiva attraverso la propria autorealizzazione almeno alla seguente domanda - ogni forma di organizzazione sociale contiene già in se il germe della propria autodistruzione?

Osserva John Clark “in quanto Kratos, in quanto dominio, comporterà inevitabilmente aspetti negativi di coercizione, di imposizione di una volontà, il fallimento della cooperazione volontaria, il pericolo di un potere corruttore, i rischi dell’ideologia, le tentazioni di una tirannia della maggioranza”9 e dunque, posto il problema in altri termini, Il semplice legame sociale, superato il distruttivo conflitto tra classi, è in grado di garantire la coesione e la stabilità di un dato sistema sociale (comunitario)? La risposte richiederebbero lo scorrere dell’analisi su più livelli o “ambiti”: politico, economico, storico, il più profondo dei quali riguarda appunto la natura e l’origine dei legami sociali. E anche se “l’origine è ciò che ci ha fatti tali” e “si è irrimediabilmente” allontanata, “impossibile da raggiungere” 10 non ci si dovrebbe sottrarre a cercare una possibile risposta con la consapevolezza che “l’origine, rivestita con tutte le attrattive del paradiso perduto, è vissuta come <> che tutti inseguono disperatamente per trovare un senso alla vita.”11

Queste, in sostanza, alcune considerazioni che a mio avviso tendono a mettere in luce quanto il pensiero occidentale, senza che ci se ne accorga, sia incline a interpretare attraverso stereotipi che agiscono al di sotto del ragionamento critico, e che ormai dovrebbero essere resi manifesti ed abbandonati. Siamo così immersi in un melange di concetti che si riproducono da secoli che non possiamo fare a meno di interpretare certi fatti attraverso di essi: come fosse una coazione a ripetere.
E' facile, dunque, vedere nel pensiero marxiano un riprodursi di quei concetti. In realtà la distorsione proviene da chi giudica e non perché essa sia per forza presente. E' vero che si può obiettare che Marx possa aver interpretato la realtà attraverso quei canoni, ma allora la teoria del Caos è scientifica o semplicemente una trasposizione di elementi mitologici in un sistema fisico-matematico?

Certamente Marx aveva ben presente il racconto biblico e non gli sarebbe stato difficile servirsene in modo consapevole, ma proprio per tale motivo ha cercato di spogliare il pensiero economico e sociale da elementi mitici interessandosi alla comprensione del funzionamento del sistema economico più che a darne spiegazioni teoretiche, esaltando la lotta come strumento di trasformazione della realtà invece di offrire confortevoli soluzioni filosofiche.

Note


1 Credo sia importante rilevare che la cartografia non era una scienza sino al ‘400. Le mappe avevano un valore religioso e cosmologico in cui i luoghi venivano rappresentati secondo la fantasia e le teorie che più soddisfacevano un “universo simbolico” dominato (e controllato) dall’ideologia cristiana. Il paradiso terrestre era parte costitutiva della cosmografia e nell’immaginario una sorta di luogo beato e felice collocato oltre le terre conosciute, solitamente su un’isola.
2 Altre interpretazioni accreditate sostengono che una sorta di escatologia socialista (presente anche in Marx) derivi dalla visione mistica della liberazione contenuta nella tradizione giudaico-cristiana. Credo sia possibile mettere in rapporto l’idea del paradiso perduto propria di tale tradizione con l’ispirazione religiosa del socialismo originario dove la condivisione ideologica dell’Avvento di una nuova era funziona da trat d’union. Come ho sostenuto nel testo mi pare plausibile far discendere il mito giudaico-cristiano dalla mitologia egizia e forse si potrebbe andare ancora più a ritroso nel tempo. Segnalo due brevi scritti interessanti cui è accennato l’aspetto mistico-storicistico del socialismo “Il comunismo dall’utopia alla mitologia” e “L’autopraxis storica del proletariato” di Maximilien Rubel. Ambedue pubblicati su Vis-à-Vis
3 Agricoltura di John Zerzan tratto da Terra Selvaggia #5 - aprile 2001
4La problematica sollevata dalla “Dialettica” di Adorno e Horkheimer è ben nota, ma debbo abbandonare il discorso lasciando aperta la questione perché porterebbe fin troppo lontano da un'esame superficiale come questo. Mi é parsa interessante la trattazione che ne fa Marco Franceschetti in La filosofia della musica di Th. W. Adorno (copia inviata in pdf) http://www.cicuta.net/dissonanze/marco/capdue.htm
5 Christmas Humphreys – Lo Zen – Ubaldini Editore 1963
6 Marco Melotti “Al tramonto del secolo: note a margine per una resa dei conti ed una ripresa della critica” - Vis-à-Vis n.4
7 A questo proposito consiglio la lettura di Armand Mattelart - Storia dell'utopia planetaria. Dalla città profetica alla società globale.
8 John Clark – “Ripensare la società” in Volontà Democrazia e oltre - Milano anno XLIII n.4 del 12/1994 - pagg 93 -115
9 Non intendo confondere la questione del “dominio sulla natura” perseguita sia della magia che della scienza come - diverso dispiegarsi dell'azione esercitata per quell'”ottenerne il dominio” - Sostituire l'una all'altra a mio avviso è fuorviante.
10 “Dall’orda allo stato” - pag. 205 op. cit. in ragionando-sulla-scienza-politica
11 Ibid.

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