Nel sito consigliato a fianco La Contraddizione al link Quiproquo è presente un interessantissimo "libello virtuale" (come viene definito nella stessa presentazione) che ha la veste di una piccola enciclopedia contenente svariate decine di voci (160 con diverse varianti).
Il lemma proposto è una variante della voce Valori.Tutti i corsivi e i simboli presenti nel testo sono quelli originali. La freccia [<=] indica che nell'enciclopedia è presente quel lemma.
L'autore è Vladimiro Giacché [v.g.].
I valori personali - Magritte (1952) |
In cosa consiste l’inganno? Innanzitutto
nel fatto di coprire, dietro il paravento di valori
altisonanti ed astratti, prassi concrete mosse da ben altri (e
ben più bassi) fini. L’esempio più recente è quello della
“guerra umanitaria”. In questo senso i
“valori” (a partire dalla famigerata triade
“Dio, Patria, Famiglia”) altro non sono che una
mistificazione, ossia un mezzo per coprire una prassi reale che
non di rado è non solo diversa, ma di segno addirittura opposto
a quanto si va predicando. La saggezza popolare ha affidato a
proverbi quali “predicare bene e razzolare male” la
sanzione di questi comportamenti; ed esiste una folta
letteratura, ad esempio, sui vizi dei monaci e dei preti,
direttamente proporzionali al loro richiamo ipocrita ai valori ed
alle virtù (per La Rochefoucauld “l’ipocrisia”
era per l’appunto “il prezzo che il vizio paga alla
virtù”: cosicché spesso alla virtù predicata finiscono
per corrispondere vizi reali).
Ma l’inganno non consiste solo in
questo: se così fosse, infatti, dovremmo ammettere che esista
(o possa esistere) una prassi realmente ispirata
all’“umanità”, alla “bontà”, alla
“giustizia”, ecc. Il punto, però, è che questo è impossibile.
Per il semplice motivo che – e qui sta il secondo
inganno – che questi presunti “valori” assoluti
(eterni, di significato univoco, validi per tutti i tempi e per
tutti i luoghi) non esistono. I valori ai quali gli esseri
umani ispirano la loro azione, infatti, nascono dalla concretezza
della loro condizione storica, a partire dalle modalità con le
quali avviene la loro riproduzione materiale; e andrà semmai
ricordato che, sulla concretezza della condizione storica attuale
e dei vigenti rapporti sociali, si innesta inoltre la tradizione,
che rappresenta per lo più il precipitato di bisogni e relazioni
sociali corrispondenti a precedenti epoche della riproduzione
materiale.
“Valori” allo stato puro,
insomma, non esistono da nessuna parte: i valori sono in perenne mutamento
ed evoluzione – oltreché, sempre più spesso, in contraddizione
tra loro anche nella stessa persona (così, la stessa
persona può essere solidale nei confronti dei parenti più
stretti e terribilmente egoista nei rapporti di lavoro: ma anche
questo non si deve a un qualche astratto e fatale
“politeismo dei valori”, ma alle concrete condizioni
di vita ed alla diversità e contraddittorietà dei ruoli sociali
che convivono in una stessa persona).
Il mutamento e l’evoluzione dei
valori, così come il loro contraddittorio presentarsi, sono
funzione della vita materiale degli uomini e degli interessi che
in essa si manifestano e si scontrano. Già, perché
questi interessi non sono comuni a tutti: l’interesse dei
lavoratori non coincide – non può coincidere – con
l’interesse dei padroni. E quindi i valori degli uni non
coincidono – non possono coincidere – con i valori
degli altri. Ma, si dirà, e l’interesse alla conservazione
della vita della specie e della stessa vita sul pianeta –
oggi essi stessi minacciati dal “valore” del capitale
[<=] (ossia dall’incoercibile tendenza del capitale a
valorizzarsi, ad accrescere la propria massa a scapito di tutto e
di tutti)? Non dovrebbero, questi interessi, accomunare tutti?
Nei fatti vediamo che così non è: vediamo che la riduzione dei
gas inquinanti (provatamente letali per il pianeta) viene
impedita; vediamo che l’energia atomica viene riproposta
come necessaria, perché “l’economia non può
fermarsi” [Il Sole 24 Ore, 8 maggio 2001]. Questo
perché la classe [<=] capitalistica, la classe che
incarna la tendenza del capitale ad autovalorizzarsi, concepisce
questa tendenza come il “valore” supremo. E oggi riesce
addirittura a convincere le classi subalterne che questo
“valore” è anche il loro valore, che i suoi
interessi di classe sono anche i loro interessi di classe.
Ovviamente, questo ragionamento può essere e deve essere
rovesciato: sono gli interessi delle classi subalterne ad
esprimere gli interessi dell’umanità, a cominciare dal
fatto che solo il perseguimento e la vittoria degli interessi
delle classi subalterne appare in grado (oggi più che mai) di
impedire “la comune rovina delle classi in lotta”. Non
però nel senso – lo ripetiamo – che gli interessi
delle diverse classi immediatamente coincidano:
semplicemente, l’abolizione dello sfruttamento e della proprietà
[<=] privata dei mezzi di produzione è la condizione
necessaria per evitare la rovina comune. In tutto questo, i
valori dove restano?
I valori restano ... indietro. Nel senso che
tengono dietro agli interessi (di classe) e da essi sono
plasmati, guidati, utilizzati. Dobbiamo, insomma, operare una
sorta di rovesciamento, per rimettere nel giusto ordine le
immagini capovolte dalla camera oscura dell’ideologia. I
valori (storicamente e socialmente determinati) sono il
mezzo, gli interessi (socialmente e storicamente determinati)
rappresentano il fine dell’azione sociale. Si noti
bene: questa natura di mezzo dei valori riguarda anche quello che
probabilmente è l’unico “valore” correttamente
attribuibile alle classi subalterne nella loro lotta per
l’emancipazione: il valore della “solidarietà”.
Che nell’accezione autentica del movimento operaio comunista
non ha nulla a che fare con la “solidarietà” di cui
parla il cosiddetto pensiero sociale della Chiesa (ossia il
solidarismo, la caritatevole mano tesa verso “i
deboli”, verso “chi resta indietro” ecc.): la
“solidarietà”, dicono le parole di una delle più
belle canzoni del movimento comunista [il Canto della
solidarietà di Brecht-Eisler], è invece semplicemente ciò
“in cui risiede la nostra forza”, ossia l’unione
fra eguali per conseguire un obiettivo comune.
Se questo è vero, è chiaro che la fuga
nei valori, il riferimento sempre più ossessivo ed
inflazionato ai valori, culminato nel nostro Paese nella
presentazione alle ultime elezioni addirittura di una lista
denominata “l’Italia dei Valori”, rappresenta un
aspetto fortemente regressivo dell’attuale situazione
sociale e politica. Per diversi motivi.
1) Perché rappresenta
un’accettazione del rovesciamento della gerarchia reale
tra bisogni/interessi e valori: se questi ultimi altro non
sono, nella realtà, che modi di concepire e di conseguire quegli
interessi, il rovesciamento ideologico li ipostatizza e ne fa
degli “apriori” assoluti.
2) Perché rappresenta una fuga
nell’astrattezza di valori (assoluti, astorici,
universali) che hanno perduto (in questa visione
mistificata) ogni concreto referente reale, nella prassi
delle relazioni e dei conflitti sociali.
In questa dimensione mistificata – nella
migliore delle ipotesi (ossia nel caso che essa non sia frutto di
malafede) – ci si muove in tondo: ricevendo conferma della
propria bontà (ad esempio nei confronti delle popolazioni del
cosiddetto Terzo Mondo, concepite come “gli ultimi”,
“i deboli”, “i bisognosi” – e non, come
sarebbe giusto, come popoli sfruttati da ben individuabili
meccanismi economici, in conformità a ben precisi interessi di
classe) proprio dalle proprie sconfitte e dall’inevitabile
inanità dei propri sforzi.
3) Perché rappresenta un ulteriore
gradino nella scala discendente che dalla coscienza di classe
[<=] e dalla solidarietà praticata (sovente in maniera
spontanea) tra i lavoratori aveva condotto all’ipostasi
della “missione del proletariato”. Ed effettivamente, dalla
missione all’apostolato, e da questo alle opere di carità
il passo non è affatto lungo ... Per dirla nei termini del
(desolante) dibattito a-sinistra, questo e non altro è il
significato della transizione dal
“militante-missionario” al “volontario”
(dove il minimo che si possa dire è che il rimedio è assai
peggiore del male ...).
Rispetto alle elucubrazioni di questi teologi
di ritorno, ben altra lucidità è dato riscontrare, come è
ovvio, tra i funzionari del capitale: che sono addirittura in
grado di liquidare il tema dei valori in due battute.
Come faceva, in un recente articolo dedicato
ai “fondi etici di investimento”, la “responsabile
del bilancio socio-ambientale” [sic!] di una delle
principali società italiane: ossia dichiarando che “non
si può creare valore senza valori” [Il Sole 24 Ore,
7 maggio 2001].
I valori sono indispensabili ... in quanto
servono all’autovalorizzazione del capitale. Che, come
volevasi dimostrare, è il Valore supremo. E in questo
caso – ma solo in questo – la maiuscola ci sta proprio
bene. Anche l’analisi del linguaggio [<=] ci
permette di ripercorrere nelle parole la direzione del movimento
reale. Già Marx ricordava – nelle sue Glosse a
Wagner – che il termine di “valore” (Wert) in
origine designava le “cose utili” intese come
“valori d’uso”. L’ideologo pragmatista
americano William James, un secolo fa, parlava di “valore in
contanti” delle idee, oggi possiamo parlarne anche per la
Morale e Dio, da cercare sulla pagina delle quotazioni di borsa.
[v.g.]
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